27 febbraio 2019
Il prefetto Mulas e l’allora questore Mangini, Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica del 15 dicembre 2016
Se il territorio si è improvvisamente scoperto penetrato dalle organizzazioni mafiose è perché quasi tutti hanno creduto che la criminalità diffusa fosse prodotta dalla criminalità organizzata; di conseguenza, se mancava una, mancava pure l’altra.
L’argomento già delicato, la presenza mafiosa a Verona e nel Nord Est, è stato reso ancor più sensibile da quanto avvenuto nelle ultime due settimane e dall’ampio risalto datone dalla stampa locale. E allora cominciamo da qui.
Passato e presente. «Se, come veneti, non abbiamo gli anticorpi, ce li dobbiamo fare, e anche in fretta. Qui, fino a pochi anni fa, si lasciava la chiave sulla porta di casa. Siamo la terra del rispetto, in cui una stretta di mano è un contratto. Per questo non abbiamo mai avuto anticorpi contro questi livelli di criminalità organizzata». Parole, queste, del presidente della Regione Veneto Luca Zaia, con le quali ha accompagnato la sottoscrizione dell’appello contro la mafia, scritto da Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico” (il sodalizio nato nel 1996 con l’intento di collegare ed organizzare gli amministratori che concretamente si impegnano a promuovere la cultura della legalità), e lanciato dal Corriere del Veneto subito dopo l’inchiesta sulle infiltrazioni dei camorristi di Casal di Prinicipe nel comune veneziano di Eraclea.Facciamo ora un salto indietro di oltre un secolo. Nel 1904 veniva pubblicata dalla casa editrice fiorentina Olschki “La provincia di Verona: monografia statistica, economica, amministrativa”, opera del conte Luigi Sormani Moretti, prefetto della provincia scaligera dal 1888 al 1897. Nella monografia, il reggiano Sormani Moretti, prefetto pure di Venezia dal 1876 al 1880 e di Treviso dal 1903 al 1906, affermava che «la tranquillità e l’ordine devonsi riconoscere nel veronese, dovute all’indole mite, alle savie tradizioni ed alle consuetudini civili delle popolazioni» e che il territorio risultava privo di quegli elementi di pericolosità sociale che, al contrario, caratterizzavano quelle zone del Paese dove c’era «l’abitudine di portare sopra di sé il coltello o rivoltella».
Non saranno solo i successori del prefetto Sormani Moretti a confermare questa rappresentazione di “isola felice” all’interno dell’“arcipelago felice” regionale: un noto legale scaligero, nella prefazione ad un volume edito nel maggio del 2014, scriveva: «La nostra città non ha mai avuto una criminalità organizzata se si esclude la criminalità politica della Tangentopoli degli anni ’90 che, comunque, non può essere definita nera perché si limitava a rubare, non ammazzava. I fatti, anche gravi e gravissimi che hanno portato Verona ai cosiddetti onori della cronaca sono fatti isolati, non collegabili tra loro e non espressivi di una mentalità. In chiave delinquenziale il nostro DNA è sano».
Fonte: Mafia in Veneto: anni di analisi semplicistiche e omertà