«Parco, Valdegamberi non imiti Bolsonaro»

Lunedì 30 dicembre 2019      arena

 

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LESSINIA. Gli ecologisti Emanuele Napolitano e Tomaso Bianchini stroncano la proposta di legge che sarà presto discussa prima in Commissione e poi in Consiglio

Gli ambientalisti: «Il consigliere della lista Zaia vuole ridurre l’area protetta e rischia di fare come il premier brasiliano con l’Amazzonia»

Vittorio Zambaldo

Respingono le accuse di arroganza portate dal consigliere regionale Stefano Valdegamberi i portavoce di Lessinia Europa Emanuele Napolitano e Tomaso Bianchini, definendo le loro riflessioni sul Parco naturale regionale della Lessinia, «libera espressione di pensiero, e sopratutto respingiamo l’accusa, del tutto infondata, di aver sottoscritto il più che condivisibile appello per la salvaguardia del Parco su mandato di un partito: ricordiamo a Valdegamberi che nulla abbiamo a che fare con partiti politici». E aggiungono: «Nelle nostre associazioni ci sono elettori di tutti i partiti che gradirebbero conoscere per quale singolare motivazione i simboli stessi del Parco della Lessinia dovrebbero essere espulsi dal Parco medesimo».La proposta di legge sarà discussa a giorni in Commissione e poi portata per l’approvazione in Consiglio, sottoscritta dai consiglieri Enrico Corsi, Alessandro Montagnoli e Stefano Valdegamberi, prevede infatti l’esclusione dal Parco dell’area della Spluga della Preta, dei grandi vaj (Marciora, Falconi, Anguilla e Squaranto), delle contrade storiche Tinazzo e Zamberlini, lungo il sentiero europeo E5, di Malga Lobbia con la sua celebre Pietà entrata in tutti i manifesti del Parco e lo stesso Ponte di Veja verrebbe separato dal Parco e isolato nel vuoto.«Affermare che chi si oppone a questa insensata proposta di legge lo faccia per interesse politico è una vergognosa insinuazione. Il consigliere regionale si dovrebbe innanzitutto scusare anche per rispetto dei numerosi elettori, anche della Lega che non condividono il ridimensionamento del Parco».Ci sono altre critiche di Valdegamberi finite nel mirino degli ambientalisti: «Il Parco della Lessinia non interessa solo alle «associazioni di Treviso» su cui il consigliere regionale ironizza elencando fra i sottoscrittori un gruppo speleologico della Marca ma interessa anche alle oltre 60 aziende ed attività turistico ricettiva che adottano il simbolo del Parco per la commercializzazione dei loro prodotti o per l’ospitalità». Resta sullo sfondo di questa lunga serie di critiche l’appello «ad abbandonare questo progetto di legge regionale», concludono Napolitano e Bianchini, «che trasformerebbe la Lessinia in un guazzabuglio di aree al Parco e siamo certi che il consigliere Valdegamberi non vorrà essere il nostro Bolsonaro che sta distruggendo l’Amazzonia».Arriva una secca presa di posizione anche dal Partito democratico, che sul tema della proposta di legge regionale ha organizzato un’affollata serata a Verona con i consiglieri Andrea Zanoni e Anna Maria Bigon: «Non capisco con quale autorità il consigliere Valdegamberi possa liquidare sprezzantemente come arroganti le preoccupazioni di associazioni e cittadini sulle modifiche ai confini del Parco della Lessinia», osserva Anna Maria Bigon, replicando all’attacco di Valdegamberi dopo la lettera aperta inviata da 72 associazioni per scongiurare la riduzione del Parco come previsto dal progetto di legge di cui è firmatario con i consiglieri leghisti Corsi e Montagnoli.«L’area tutelata viene «tagliata» del 20 per cento, cancellando i vaj, zone agro silvopastorali, che diventerebbero aree esterne. I parchi rappresentano opportunità per turismo, nuove professioni, ma la Lega ci vede soltanto vincoli. Diminuire la percentuale protetta significa anche diminuire i finanziamenti», denuncia la consigliera Pd, che invita ad aprire un dibattito il più ampio possibile «per discutere delle vere esigenze della Lessinia. Non c’è nessuna arroganza nel temere che questa proposta di legge, crei nuovi problemi ed è un dovere della politica ascoltare le preoccupazioni dei cittadini».

 

Acciaierie Pittini, proposta indecente; l’amministrazione comunale si corregga – Comunicato stampa di Michele Bertucco

Mercoledì 20 Novembre 2019    comuunicato stampa

 

LOGO VERONA IN COMUNE
Le acciaierie Pittini hanno in programma di bruciare nei loro altiforni 160 mila tonnellate all’anno di rifiuti non pericolosi, più precisamente rottami. Una quantità di materiale paragonabile a quella che doveva bruciare Cà del Bue (500 tonnellate al giorno, circa 180 mila all’anno).
Solo la provincia di Verona si è messa di traverso a questo folle progetto che promette di peggiorare del 60% le emissioni prodotte dall’acciaieria. E ora dovrà difendersi al Tar su ricorso presentato dalle acciareie. Il Comune – incredibile ma vero – si è accontento di sapere che i rifiuti metallici arriveranno con mezzo sostenibile: il treno. Ma ci fanno o ci sono?
La Provincia afferma che la proposta è “improcedibile” in quanto in contrasto con l’articolo 49 del Piano d’Area Quadrante Europa che non prevede l’apertura di nuovi impianti di smaltimento di rifiuti sul nostro territorio. Pittini invece gioca sulla definizione ambigua e border line di “rottame”, che non sarebbe precisamente un rifiuto, e tirando i capelli al concetto di economia circolare.
Certe e indubitabili sono invece le conseguenze sulla qualità dell’aria: lo studio commissionato dall’azienda ammette che “le modifiche comportano un aumento nella diffusione degli inquinanti, che nei valori massimi appare più marcato nelle medie giornaliere (+60% circa) che nelle medie annuali (+20% circa) e nelle deposizioni (+40% circa)”.
Incredibilmente però i tecnici considerano questo peggioramento poco rilevante dal momento che la qualità dell’aria in città è già pessima. Ecco le loro parole: “Nonostante l’aumento ipotizzato per le emissioni emesse da Acciaierie di Verona S.p.A., tale aumento deve essere messo in relazione con gli standard di qualità dell’aria, per cui è evidente come tale aumento incida in modo poco rilevante sulla qualità dell’aria: maggior contributo del 2% sui valori limite giornalieri, dello 0,2% sui valori limite annuali e dello 0,03% sui valori di riferimento per le deposizioni”.
Altra perla contenuta nella progetta riguarda la selezione del rifiuto da bruciare che “avverrà sostanzialmente tramite verifica visiva”.
Tutto è partito dalla richiesta di Pittini si sottoporre il progetto a verifica di assoggettabilità a Via. La Provincia aveva archiviato tutto senza nemmeno rispondere a quella che è una vera e propria proposta indecente. Per risposta Pittini è ricorsa al Tar.
E’ ora che anche il Comune si svegli correggendo il parere del dirigente all’Ambiente e tutelando la salute dei suoi cittadini.

Venezia e Mose, come aggiungere danno al danno. – Il comunicato stampa di Italia Nostra

Martedì 19 Novembre 2019    comuunicato stampa

 

Il comunicato stampa di Italia Nostra, che si dice sbigottita della nomina di Elisabetta Spitz a Commissario per il Mose. Negli anni della finanza creativa di Giulio Tremonti era stata a capo dell’Agenzia del Demanio e aveva guidato la stagione delle “cartolarizzazioni” arrecando grave danno alle finanze pubbliche e facendo fallire diverse società governative.

 

15-11-2019
La nomina di Elisabetta Spitz a commissario del Mose: sbigottimento di Italia Nostra
Risultati immagini per logo italia nostra E’ con sbigottimento che apprendiamo la nomina di Elisabetta Spitz quale commissario straordinario del MOSE da parte del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli. A capo di un’opera strategica per Venezia e per la sua Laguna viene messa la protagonista di una delle stagioni più buie per il patrimonio immobiliare pubblico italiano. Alludiamo al periodo delle cartolarizzazioni del Ministro Giulio Tremonti durante il quale l’architetto Spitz fu a capo dell’Agenzia del Demanio.
Non si contano i fallimenti politici ed economici di quegli anni: la chiusura anticipata di SCIP – Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici S.r.l., con il “fallimento” di SCIP2 dove i costi dell’operazione furono superiori ai ricavi; la liquidazione della società Infrastrutture S.p.A. che avrebbe dovuto porre il patrimonio immobiliare collettivo a garanzia delle opere pubbliche; la costituzione di Patrimonio dello Stato S.p.A., autentico doppione dell’Agenzia del Demanio. Va notato che la SCIP – Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici S.r.l. era stata costituita in Lussemburgo il 21 novembre 2001 da due fondazioni olandesi controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze (la “Stichting Thesaurum” e la “Stichting Palatium”, costituite ad Amsterdam il 5 novembre 2001 e amministrate da un trust fund olandese, la “TMF Management BV”) per sfuggire alla tassazione italiana.
Ora PD e Movimento 5 Stelle riesumano questo autentico “boiardo di Stato” di provenienza immobiliaristica e tremiamo al solo pensiero delle conseguenze che questo potrà avere, soprattutto in riferimento alle opere di mitigazione e compensazione ambientale: non ci stupiremo di vedere beni pubblici o isole della laguna trasformati in resort di lusso proprio grazie ai soldi delle misure compensative del MOSE.
La soluzione primigenia di un ingegnere proveniente dall’ambiente militare, ma con indiscusse competenze idrauliche e ambientali, ci pareva la più opportuna per il ruolo di commissario del MOSE, sia per prevenire eventuali nuovi fenomeni di corruzione, sia per garantire imparzialità nella spesa delle ingenti risorse pubbliche ancora a disposizione.
Mariarita Signorini, Presidente nazionale Italia Nostra
Lidia Fersuoch, Presidente Italia Nostra

Processo Pfas, Associazioni di Categoria assenti

Sabato 16 Novembre   RASSEGNA STAMPA

 

logo_vvox_small  Lo rende noto la deputata del Gruppo misto Cunial: «Coloro che rappresentano e dovrebbero tutelare gli interessi di agricoltori e pescatori non si sono ancora dichiarati parte civile»

“Con il deposito di 210 richieste di costituzione di parte civile è iniziata davanti al Gup di Vicenza l’udienza preliminare del processo a carico degli ex e attuali vertici della Miteni per la contaminazione da PFAS delle falde acquifere dell’area tra le province di Vicenza, Padova e Verona. Sorprende scoprire che proprio le Associazioni di Categoria, coloro che rappresentano e dovrebbero tutelare gli interessi di agricoltori e pescatori, tra le principali vittime di questo disastro ambientale, non si siano ancora dichiarati parte civile così da garantire al meglio i diritti dei propri iscritti e ridare dignità alle tante aziende coinvolte, loro malgrado, nella questione PFAS”, afferma Sara Cunial, deputata del Gruppo Misto.

“È sempre più evidente che proprio queste categorie siano tra le principali parti in causa di questa irrimediabile catastrofe, causa della contaminazione delle acque e dell’avvelenamento dei prodotti alimentari che vengono coltivati e pescati – continua Cunial – Da anni, medici, ricercatori e associazioni di cittadini chiedono un urgente intervento legislativo che proibisca la produzione e la commercializzazione degli alimenti contaminati da PFAS, a difesa della salute dei consumatori veneti e delle altre regioni dove tali prodotti vengono distribuiti. ISDE Veneto, documenti scientifici alla mano, già nel 2015 chiedeva di provvedere a sospendere la loro commercializzazione e di adoperarsi per un’azione più intensa e decisa contro l’inquinamento da PFAS su alimenti e acqua potabile. All’epoca Coldiretti inviò addirittura una diffida ai medici perché le informazioni da loro espresse (assieme al Coordinamento acque libere dai PFAS) stavano ‘ingenerando un allarmismo diffuso fra la popolazione, con una ricaduta notevole in danno ai coltivatori e allevatori della zona’. Intanto – aggiunge Cunial – politici e funzionari per anni si sono spesi ad avallare acriticamente le versioni della Miteni sostenendo che gli alimenti prodotti nella zona rossa fossero sicuri e non costituissero una fonte di contaminazione per la popolazione e per i consumatori. Ed oggi, che l’economia locale è irrimediabilmente danneggiata e che il coinvolgimento nel danno economico è enorme perché non costituirsi parte civile garantendo così tutela e riscatto ai propri soci? Ho chiesto direttamente alle Associazioni in questione ed ai suoi dirigenti locali e regionali un gesto di dignità e di coraggio, nel rispetto dei loro iscritti e di tutti i cittadini italiani. Dopo i depositi, il giudice ha rinviato l’udienza al 25 novembre prossimo, termine ultimo per costituirsi parte civile in uno dei processi più importanti d’Italia. Quel giorno – conclude Cunial – mi auguro siano presenti tutti coloro che vogliono tutelare e rivendicare gli interessi dei nostri agricoltori e dei nostri cittadini, per poter essere ricordati dalla parte giusta della storia”

Pfas: «Ecco come provocano aborti»

Sabato 9 Novembre 2019   RASSEGNA STAMPA

 

logo_vvox_small Il professor Foresta di Padova ha scoperto dove agiscono le sostanze perfluoroalchiliche. Si apre una porta per le terapie

Gli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sul sistema endocrino-riproduttivo maschile e femminile sono stati riportati da diversi studi scientifici, a partire da quelli del gruppo di ricerca guidato dal professor Carlo Foresta dell’Università di Padova, in cui sono riportate alterazioni riproduttive nei giovani maschi e femmine dell’area rossa ad alto inquinamento da PFAS in Veneto. In particolare, nel sesso femminile l’esposizione a queste sostanze si associa a più frequenti irregolarità mestruali e ritardi della pubertà nelle adolescenti, e a un maggior rischio di aborti in donne adulte.

La Direzione Prevenzione dell’Area Sanità e Sociale della Regione del Veneto ha recentemente diffuso una serie di informazioni aggiornate sull’incidenza dell’inquinamento da PFAS sugli esiti materni e neonatali, contenute nell’aggiornamento dello Studio sugli Esiti Materni e Neonatali in Relazione alla Contaminazione da Sostanze Perfluoro Alchiliche, a cura del Registro Nascite – Coordinamento Malattie Rare Regione Veneto. Lo studio mette a confronto alcuni esiti materno-infantili tra aree a diversa esposizione, basandosi sull’andamento delle gravidanze di donne residenti nelle aree inquinate e sulla salute dei rispettivi nati, con copertura pressoché totale della popolazione presa in esame.. I risultati ottenuti riportano un incremento di pre-eclampsia, diabete gravidico, di nati con basso peso alla nascita per età gestazionale (SGA).

Tutte le sopracitate manifestazioni cliniche condividono una fine regolazione da parte degli ormoni riproduttivi, tuttavia i meccanismi biologici coinvolti nell’alterazione riproduttiva sono ancora ampiamente ignoti.

La novità

Un anno fa era stata diffusa la prima scoperta del gruppo del professor Carlo Foresta, che definiva il meccanismo attraverso il quale i Pfas alterano sia lo sviluppo del sistema uro-genitale che la fertilità del maschio, interferendo con l’attività del testosterone. Sostanzialmente, l’organismo li scambia per ormoni: inevitabilmente mutano l’azione delle ghiandole endocrine, causando una serie di malattie. Dopo quella pubblicazione, il gruppo di ricerca dell’Università di Padova propone alla comunità scientifica una nuova evidenza: le patologie riproduttive femminili (ad esempio alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, nati pre-termine e sottopeso) possono essere correlate all’azione dei Pfas sulla funzione ormonale del progesterone, ormone femminile che agisce a livello dell’utero. Il progesterone è un ormone che viene prodotto durante la seconda metà del ciclo mestruale e svolge importanti funzioni per la salute femminile, tra cui quello di garantire la regolarità del ciclo mestruale. Il suo ruolo principale è quello di creare un ambiente accogliente all’interno dell’utero, favorendo l’impianto dell’embrione e il mantenimento della gravidanza. “Il nostro studio – spiega Foresta – dimostra che i PFAS sono in grado di interferire sulla funzione del progesterone a livello dell’endometrio, giustificando l’elevata frequenza di irregolarità mestruali e di aborti precoci riscontrata nelle donne provenienti da aree contaminate.”

A questo risultato si è giunti dopo due anni di lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Padova, coordinato dal professor Carlo Foresta e dal dottor Andrea Di Nisio e la dott.ssa Manuela Rocca, che ha valutato l’effetto dei Pfas sull’azione del progesterone analizzando, in cellule endometriali in vitro, come i Pfas interferiscano vistosamente sulla regolazione dei geni espressi a livello dell’endometrio . In particolare è stato dimostrato che, su più di 20.000 geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 vengono alterati e tra questi quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione e quindi alla fertilità. “La mancata attivazione di questi geni da parte del progesterone altera le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo mestruale e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione – conclude Foresta – e quindi giustificano la difficoltà di concepimento, la poliabortività e la nascita pre-termine”.

La svolta dello studio del team di Padova è appunto quella di aver individuato il meccanismo che è alla base dello sviluppo di questi fenomeni. “A questo punto la comprensione di una interferenza importante dei Pfas sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati, – spiega il professor Foresta – suggerisce l’urgenza di ricerche che intervengano sui meccanismi di eliminazione di queste sostanze dall’organismo soprattutto in soggetti che rientrano nelle categorie a rischio. Allo stato attuale a livello internazionale non ci sono ancora segnalazioni, pertanto è preoccupante pensare che la lunga emivita di queste sostanze possa influenzare negativamente tutti questi processi, anche nelle generazioni future.”

“In quest’ottica, – prosegue Foresta – la nostra ricerca apre scenari di trattamento innovativi in quanto è buona pratica clinica, laddove sia presente una difficoltà al concepimento a causa di fattori di rischio che intervengono sulla funzionalità del progesterone, somministrare a queste donne una terapia farmacologica con progesterone esogeno. In questo scenario di ridotta capacità funzionale di questo ormone a causa dell’azione inibente dei PFAS, si può ipotizzare un trattamento similare anche nelle donne residenti in zone esposte e che sono desiderose di prole, per ridurre gli effetti negativi indotti dagli PFAS a livello dell’endometrio uterino

TAV, AVANTI TUTTA, VERSO IL DISASTRO SANITARIO!

Giovedì 17 Ottobre    Nessuna descrizione della foto disponibile.

 

In questi giorni i giornali mettono in risalto l’accelerazione impressa al progetto Tav, in particolare nella tratta Brescia-Padova. Mentre a Sona sorgono i primi cantieri pare che ormai tutta la politca nazionale, (Movimento cinque stelle compreso) considerino l’opera ineluttabile.

Al di là dell’immensa mole di denaro investito, che potrebbe essere utilizzato in ben altro modo, ad esempio mettendo in sicurezza il territorio dal dissesto idrogeologico, che costa ogni anno vite umane e notevoli spese di ripristino del territorio, riteniamo essenziale sottolineare un altro punto, ai nostri occhi davvero pericoloso, che è stato frettolosamente accantonato perché, probabilmente, alquanto scomodo. Si tratta di una possibile emergenza sanitaria legata al Pfas, che già flagella una grossa parte del territorio veneto, e che, con la messa in opera della linea Tav, in particolare nella tratta Verona-Vicenza, potrebbe ampliarsi ulteriormente. La palificazione necessaria alla costruzione della nuova linea ferroviaria, a Montebello Vicentino, zona in piena zona rossa per quanto riguarda i Pfas, arriverebbe, come scritto nel progetto, fino a cinquanta metri sotto terra, toccando la falda inquinata e quella limitrofe dal lato veronese, rischiando seriamente di metterle in comunicazione.

Ma per raccontare questa storia è necessario fare un passo indietro.

Il problema dell’allargamento della zona contaminata in relazione agli scavi per realizzare l’Alta Velocità, pare essere acquisito e conosciuto dai diversi governi che si sono succeduti recentemente. Visto che, dopo le numerose osservazioni della cittadinanza e dei comitati e dopo la delibera del consiglio dei ministri del 21.3.18 che, finalmente, dichiarava lo stato di emergenza per le province inquinate dai Pfas, il progetto Alta Velocità subì una modifica.

Nella tratta vicino a Trissino, dove sorge la famigerata Miteni, infatti, la tratta viene fatta correre in superfice, escludendo scavi di entità proprio al fine di evitare, sta scritto nelle carte, il contatto con le falde inquinate.

La stessa precauzione, però, non viene ripetuta per il territorio di Montebello Vicentino, dove l’acqua è comunque contaminata. La palificatura, come già detto, in quel territorio di confine tra ciò che viene considerata “zona rossa” e quella che non è interessata, per ora, da quel fenomeno, raggiungerà, come da progetto, i cinquanta metri di profondità, mettendo inevitabilmente in comunicazione tutte le falde, comprese quelle inquinate, fino a quel livello, con la possibilità di estendere l’area interessata dai Pfas fin nell’est veronese.

D’altra parte l’attenzione al sistema idrico non pare essere mai stata una grossa preoccupazione per i costruttori dell’Alta Velocità, visto, ad esempio, il devastante impatto ambientale che ha contraddistinto la linea Firenze-Bologna, nel territorio del Mugello, dove i danni hanno coinvolto 5 acquedotti, 73 sorgenti, 45 pozzi, 20 fiumi, torrenti e fossi e dove sono stati pompati 150 milioni di metri cubi di acqua che corrispondono a 150 miliardi di litri equivalenti al consumo di due anni di una città come Milano che è al 1 posto per il consu

Pompati 150 milioni di metri cubi di acqua che corrispondono a 150 miliardi di litri equivalenti al consumo di due anni di una città come Milano!

Tornando alla relazione tra falde contaminate e scavi per la costruzione del tracciato per l’Alta Velocità nei nostri territori, il pericolo è stato segnalato chiaramente in due osservazioni redatte dal consigliere comunale di San Bonifacio e attivista No Tav Vasco Carradore. Si trattava di un’indagine di Valutazione di Impatto sanitario (Vis) e una Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario (Vitas), inviate agli organi competenti in nome del Principio di precauzione previsto dagli ordinamenti europei. L’incredibile risposta della Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale in seno al Ministero dell’Ambiente è stata…che prendono atto delle osservazioni! Ci si sarebbe potuti aspettare una controdeduzione che smentisca le criticità sollevate, magari accompagnata da documentazione fornita da carte geologiche che dimostrassero che la comunicazione tra falde inquinate e falde non inquinate non è possibile, oppure una risposta che decreti l’avvio di indagini approfonditi e solerti in questo senso, ma un “ne prendiamo atto” non è assolutamente accettabile!

Ma la cosa davvero aberrante è che le controdeduzioni alle osservazioni dei cittadini e delle cittadine in materia di impatto ambientale e sanitario sono state scritte assime al Contraente genrale di Iricav 2, ossia il raggruppamento di imprese che hanno ottenuto dallo Stato la concessione per costruire il tracciato dell’Alta Velocità.

E’ lo stesso consigliere comunale Vasco Carradore ad affermarlo in un’intervista rilasciata al quotidiano online Verona Sera:

“La nostra rete di comitati veronesi ha scoperto, poi per ammissione della stessa commissione Via, che le controdeduzioni alle osservazioni preparate dai cittadini e pervenute al destinatario nella fase di consultazione sono state elaborate assieme al general contractor o contraente generale se preferiamo la dizione italiana»

Pare lo stesso metodo utilizzato in sede di voto durante la seduta della  terza circoscrizione del Comune di Verona in merito ad un progetto presentato dalla ditta Area srl che prevede l’abbattimento di 30.000 alberi alla ex Cava Speziala. Nell’occasione il Presidente della circoscrizione Volpato, in quota Lega, ha passato direttamente il microfono all’avvocato dell’azienda proponente per rispondere alle criticità esposte dalla cittadinanza e dalle forze di minoranza.

Il cambio ai vertici del Ministero dell’Ambiente e l’istituzione della nuova Commissione di Valutazione di impatto ambientale paiono non aver scalfito, o di non voler scalfire, il muro di gomma eretto dalle stesse istutuzioni per respingere qualsivoglia criticità esistente nel tracciato della Tav Verona-Vicenza, e la ragione, a nostro avviso, sta nel ruolo che da tempo ha assunto la politica. Essa non è più, (se lo è mai stata), la mediatrice tra i diversi interessi, garantendo innanzitutto quello della cittadinanza, ed è attualmente, e sempre di più, una semplice appendice dei potentati economici, con il compito di certificare le loro scelte.

Pfas, Costa: «Ministero parte civile contro Miteni»

Venerdì 13 Settembre 2019    logo_vvox_small

 

Risultati immagini per no pfasIl ministro Sergio Costa ha annunciato in commissione Ecomafie che il Ministero dell’Ambiente si «costituirà parte civile nel processo penale nei confronti dei vertici della Miteni che controllavano la società negli anni in cui si inseriscono gli illeciti ambientali da cui è conseguita la situazione di contaminazione da Pfas e di altre sostanze dannose per la salute e la salubrità dell’ambiente, al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno ambientale».
Intanto continuano gli appelli dell’assessore veneto all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin, affinchè vengano fissati dei limiti nazionali sui Pfas.
Fonte: Adnkronos

 

«La Marmolada sparirà tra 25 anni»

Martedì 6 Agosto       Logo-Corriere-del-Veneto-

 

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Tag: Cambiamenti climatici

 

Studio del Cnr sul ghiacciaio: effetto serra, si ritira sempre più in fretta. La politica e l’allarme turismoMichela Nicolussi Moro

 

BELLUNO A poche ore dal drammatico allarme scattato in Groenlandia e sull’Antartico per lo scioglimento dei ghiacci, si scopre che il Cnr ha condotto uno studio a tema sulla Marmolada, che sarà pubblicato tra due mesi su una rivista scientifica. Ne anticipa la scomparsa totale dei ghiacciai tra 25 anni. «Nell’ultimo secolo i ghiacciai delle Alpi hanno perso il 50% della loro copertura — conferma il professor Renato Colucci, glaciologo del Cnr Trieste e tra gli autori dell’articolo in uscita —. I ghiacciai alpini in Italia, Francia, Austria e Svizzera si stanno ritirando a una velocità senza precedenti in migliaia di anni. I ghiacciai delle Alpi orientali e centrali, sotto i 3.500 metri, sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni, perché dal 2004 le temperature medie non ne permettono la sopravvivenza».
La colpa è dell’uomo, dell’inquinamento che produce e che ha sconvolto l’equilibrio naturale. «I carotaggi compiuti sui ghiacci di Groenlandia e Antartico rivelano che nell’ultimo secolo l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera è cento volte più rapido che in qualsiasi altra epoca in 800mila anni — continua l’esperto del Cnr —. La responsabilità del riscaldamento globale è del gas serra, liberato nell’aria dalla combustione di carbone e petrolio, di cui ci serviamo per produrre energia. Il risultato è che le estati sono più lunghe e calde, gli inverni brevi e con sempre meno neve e dalla metà degli anni Ottanta le temperature sono solo in salita. Fino ad allora anche sotto i tremila metri d’estate rimaneva un po’ di neve sul ghiaccio, che lo preservava e creava la riserva necessaria a formarne altro. Oggi osserviamo spesso la quasi completa scomparsa del manto nevoso: il ghiaccio resta esposto al sole e si fonde. In media si perde da mezzo metro a un metro di spessore all’anno».
Se non si arresterà il riscaldamento globale, in trent’anni spariranno completamente i ghiacci eterni dalle Alpi orientali e centrali, rimanendo solo sulle Alpi occidentali, le più alte. «Le Dolomiti sono destinate a scomparire — avverte Colucci — a meno che non ci sia la scelta, non del singolo governo ma planetaria, di passare alle energie rinnovabili nel minor tempo possibile e nella maniera più completa. Se avessimo iniziato trent’anni fa, ora saremmo più tranquilli e invece dobbiamo fare in fretta, il rischio è che il fenomeno acceleri. Per esempio lo scioglimento del permafrost, il terreno ghiacciato delle steppe, libererebbe enormi quantità di metano, il gas serra con l’effetto maggiore». Le prime ricadute pratiche? «La neve ci sarà sempre, ma l’immagine delle Alpi cambierà — prevede il glaciologo — senza più ghiacciai sotto i 3500 metri, somiglieranno agli Appennini». Ci saranno problemi di irrigazione e approvvigionamento d’acqua. Per esempio oggi il Po riceve il 30% della sua portata dai ghiacciai, se dovesse rinunciarci i periodi di secca aumenterebbero. Così come sparirebbero i ruscelli di montagna, emergerebbero problemi di funzionamento per le centraline idroelettriche e le dighe, i rifugi ad alta quota faticherebbero a ricevere l’acqua e lo sci estivo, già adesso raro, non sarà più praticabile. «Tutto questo oggi lo dice Greta, ma la scienza lo ripete da trent’anni — ammonisce Colucci — eppure siamo tutti inascoltati. Hanno più credito i negazionisti e gli ignoranti che parlano di temi che non conoscono». E i teloni sulla Marmolada? «Ci sono ancora, ma servono solo a rallentare localmente il fenomeno, non a impedire al ghiaccio di sciogliersi».
A patire la situazione sarà anche il turismo. «Soprattutto dopo l’uragano Vaia del 29 ottobre scorso, che ha devastato le nostre montagne, è emersa con forza la necessità di non sottovalutare i mutamenti climatici e anzi di prevenirli — riflette Roberto Padrin, presidente della Provincia di Belluno —. Il riscaldamento globale va affrontato con l’aiuto degli esperti, che possono aiutare la politica a prendere le giuste decisioni. E’ il momento di adottare soluzioni in grado di mitigare il problema, che oggi vediamo forse in maniera saltuaria ma che domani diventerà la normalità. Mi metto a disposizione per contribuire alla salvaguardia del territorio».

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